Con l’industrializzazione dell’editoria la professione di scrittore diventa sempre più schiava delle leggi di mercato
Libertà di parola. Spesso citiamo questo termine: abusato nella stragrande maggioranza dei casi, desiderato da molti.Il mondo dell’editoria è sicuramente quello più colpito. Gli stessi autori di opere sono spesso e volentieri indotti a scrivere non tanto quello che vogliono, quanto quello che gli viene chiesto.
Molte persone infatti pensano che parlare di un’opera definendola testo o libro sia praticamente la stessa cosa. In realtà non è propriamente così, poiché hanno alcuni elementi differenti non trascurabili. Il testo è lo scritto, l’elaborato dell’autore, scritto nella stanzina, che deve passare attraverso la mediazione editoriale. Quest’ultima ha il compito di trasformare il testo in un vero e proprio prodotto, il libro, che possa essere fruito dal pubblico. Questo passaggio non avviene mai in maniera neutrale, ovvero non assisteremo mai alla pubblicazione di un libro, il cui testo sia esattamente come voluto dall’autore.
Quello che succede quando uno scrittore presenta la propria opera a una casa editrice potrebbe sembrare semplice. In realtà vi sono dei processi di lettura e rilettura del testo da parte di più funzionari editoriali. Si tratta dunque di un processo di un lungo periodo, il cui risultato per la maggior parte dei casi è negativo. Infatti la casa editrice decide di pubblicare un testo se pensa che possa giovare da esso e se ovviamente sia in linea con la direzione editoriale.
Nel caso in cui il responso sia positivo, il testo subisce una serie di modifiche, anche strutturali, così da vendere meglio il prodotto alla gente. Per far capire meglio quanto detto, potremmo portare come esempio Pinocchio di Collodi, conosciuta da tutti.
Pinocchio di Collodi, opera che uscì come romanzo d’appendice su una rivista per bambini. Riscosse molto successo, ma ci furono molte lamentele da parte dei lettori a proposito del finale, che prevedeva la morte del protagonista. La rivista richiamò quindi Collodi per indurlo a modificare la storia del burattino. Sotto lauto compenso, il celebre autore rivisitò l’opera inserendo la figura della Fata Turchina e il finale definitivo che tutti conoscono.
In questo caso proprio il pubblico decise l’assetto definitivo dell’opera, in altri casi la casa editrice
stessa. Il caso di Pinocchio, ma come moltissimi altri casi, dimostra come la nascita
dell’editoria, industrialmente parlando, abbia mercificato e svilito l’arte.
La professione di scrittore nasce da un bisogno interiore, dalla volontà di raccontare qualcosa di unico, prodotto dal cuore. Ora le logiche di mercato stanno abbattendo questo pensiero e lo scrittore viene relegato ad un mero esecutore. Viene sempre più portato a produrre qualcosa che possa essere di forte interesse, e quasi esclusivamente improntata alle logiche di mercato. È diventata una professione che per sopravvivere è schiava dell’industria editoriale e del pubblico.
Non esiste più la libertà di poter scegliere di scrivere la propria storia nel modo in cui si vorrebbe.
Dunque il potere dell’arte e della letteratura non è più in mano a chi l’arte la crea, ma a chi la vende e la compra. A decidere cosa è arte non è più l’artista, bensì chi ne usufruisce. Abbiamo quindi appurato che la professione di scrittore sia schiava delle leggi di mercato.
Tu conosci altre professioni che stanno vedendo un simile mutamento?
A. F. 10